Una scena emergente, ve lo ricordo, è il titolo della mostra che curai al Museo Pecci di Prato nel 1991 e che consacrò, come si suol dire, la presenza di una generazione di artisti italiani che avrebbero segnato l’arte italiana durante il decennio seguente. La “scena” descritta era per la verità alquanto variegata e poco omogenea, ma, come scrissi allora, legata come lo sono le stelle di una costellazione, diverse e a diverse distanze ma che disegnano una figura comune.
Per me e secondo me fu una mostra importante e lo fu per molti motivi. Fu una mostra pensata, dibattuta, costruita, invece che puramente specchiante una situazione presunta. Una mostra con un catalogo significativo, con un dibattito aperto con gli artisti, con interventi esterni, con pagine d’artista, con l’inserto-opera di Formeno e Sossella e altro ancora. Una mostra con un allestimento pieno di sorprese, non scontata e non priva di rischi, perfino da un punto di vista materiale, se si pensa che Rüdigher volle aperta giorno e notte, contro ogni legge di sicurezza e tutela, il portone dell’uscita di sicurezza dell’ultima sala, mentre Supplemento si rifiutò di esporre dentro le sale e si chiamò fuori in un camper parcheggiato nel cortile del museo.
Chi vivrà vedrà, ma dove sono finiti quegli artisti? mi chiedono ora i miei amici di oggi, cercando di mettermi in imbarazzo. La franchezza è rara nel mondo dell’arte, vero? Ma io ne approfitto per rispolverare alcune questioni.
Quella più generale è: come cambiano gli artisti e le persone? Cosa significa cambiare? Che cos’è un “percorso artistico”? Dove vanno gli artisti? Dove li porta la strada che hanno imboccato? Direbbe Warburg: qual è il loro destino? Ovvero: che ne è di quelli che smettono di fare gli artisti? Smettono? Che ne è della loro opera? È solo un caso o le generazioni fanno dei “morti”?
Intanto io ho frequentato altri artisti, tra cui questi con cui qui warburghizzo.
Abbiamo fatto tante cose insieme, a nostro modo, mostre, pubblicazioni, collaborazioni varie, ma la particolarità è che l’abbiamo fatto e lo facciamo in un intreccio, warburghiano a suo modo, ognuno con la sua autonomia e le sue differenze • tutt’altro che ultrasottili! •, ma, accostati e interagenti, figurine sullo sfondo nero dello stare insieme non arbitrario, a formare un “collage” che solleva questioni non solo comuni.
Una scena emergente (An emerging scene) is the title of an exhibition I curated at Pecci Museum in Prato in 1991 and which sanctioned the presence of a generation of Italian artists who would mark Italian art in the following decade.
(..) But where are those artists? my current friends ask me, trying to embarass me. Frankness is rare in the art world, isn't it? But I seize the chance to dust off some old matters.
The most general one is: how do artists and people change? What does changing mean? Where do artists go? Where does the road they took lead them? As Warburg would put it: what is their destiny? That is to say: what happens to those who stop to be artists? Do they stop? What happens to their works? Is it just a chance or do generations have their "dead ones"?
In the meantime I mixed with other artists, among whom the ones I "warburg with".
We did a lot of things together, in our own way: exhibitions,publications, various collaborations, but what is peculiar is we did it, and we keep doing it, in a weaving, which is Warburg-like in its way, each one with its autonomy and differences, but drawn close and interacting with each other, tiny images on the black background of our being together in a non-arbitrary way, to make up a "collage" which raises not always obvious matters.